Come ogni anno, ci lasciamo alle spalle le ferie e ricominciamo a lavorare. Ma con tante cose da raccontare… Le mie vacanze sono state belle e divertenti come da anni non mi capitava. Meta scelta all’ultimo minuto, raggiunta seduto sull’ultima poltrona libera del traghetto Genova-Porto Torres del 12 agosto: la Sardegna.
Indeciso se recarmi in Calabria (mi deprimeva però la prospettiva del lungo viaggio solitario in moto) o in Croazia (Paese che conosco quasi a menadito), avevo voluto cogliere come un segno del destino la telefonata in extremis giuntami dalla mia amica Antonella che mi informava di avere nella sua grande casa sul mare una stanza in più, inutilizzata, nella casa di Sant’Antioco affittata per le due settimane centrali d’agosto. In effetti, non avevo mai visitato la Sardegna meridionale, e l’opportunità mi aveva convinto.
Una Sardegna differente…
Sant’Antioco, Carloforte, Calasetta… niente a che vedere con la Sardegna del nord, quella superturistica e un po’ presuntuosa della Costa Smeralda e di Stintino… Luoghi incantevoli, per carità, ma nei quali si respira una certa aria di mondanità che può anche infastidire quelli un po’ orsi come me. La Sardegna sud-occidentale mi piace di più, con la sua macchia mediterranea, le sue dune, le sue spiagge mai troppo frequentate o frequentate da un turismo meno patinato, composto principalmente da sardi di città (soprattutto residenti nelle non troppo lontane Cagliari e Oristano e nella vicina Carbonia. Se poi, come capitato a me, si ha la fortuna di poter utilizzare un’imbarcazione fuoribordo, sono davvero tante le occasioni per bagnarsi nelle acque di spiagge che nulla hanno da invidiare ai Caraibi, raggiungibili solo dal mare (chi è stato dalle parti di Teulada capisce cosa intendo dire).
… anche in cucina.
La compagnia è buona, anche se oltre alla mia amica Antonella e al marito non conoscevo praticamente nessuno… Gente amante della natura, del sole e della cucina locale. Se si eccettuano le giornate in cui si usciva in mare, nelle quali l’alimentazione si basava soprattutto su panini con il salume e il formaggio portati da casa a pranzo e la sera, cotti di sole e di sale, ci si accontentava di una pastasciutta, di un po’ di verdura (e tanto liquore di mirto per accompagnare le ultime chiacchiere in compagnia), con la complicità della signora Franca ci siamo spesso lasciati andare ad avventure gastronomiche nella ricca tradizione culinaria sarda. La signora Franca è la matura ma dinamica santantioghesa che al compito primario di rimettere in ordine ogni giorno la grande casa di Antonella affiancava, su richiesta, prestazioni da cuoca. E così, giorno dopo giorno, la nostra confidenza con i sapori forti dell’isola e delle sue specialità è aumentata. Insieme al nostro giro-vita.
Specialità regionali…
Infatti, nessuno di noi aveva in precedenza assaggiato la fregola, una sorta di cous-cous di grana grossa rispetto a quello siciliano e tunisino, condito con vongole, cozze e sugo di pomodoro ricco dell’ottimo olio locale. A seguire, immancabile, una abbondante razione di pecorino sardo DOP, sostituita o talvolta integrata dalla tipica salsiccia stagionata di carne mista suina/ovina, rigorosamente non macinata ma tagliata grossolanamente “a punta di coltello”, come si faceva una volta. Con i formaggi e il salume, ovviamente, tanto pane guttiau: pane carasau normalissimo (farina di grano duro, acqua, sale, poco lievito, quello detto anche “carta da musica”) che successivamente viene cosparso con un filo d’olio ed un pizzico di sale e messo in forno o sulla griglia per un paio di minuti. Però… che buono!
Capitolo a parte merita ovviamente il “porceddu” allo spiedo, ovvero il maialino da latte arrostito sulle braci. Si sa che la carne suina non va più demonizzata e che la sua presenza all’interno di un regime dietetico bilanciato è ormai consigliata da tutti i dietologi, ma la preparazione di questa specialità sarda nasconde un “pesante” segreto: per tutta la durata della cottura, deve essere continuamente irrorato di lardo fuso. Non solo: di norma, del maiale non si mangia la cotenna. In questo caso, invece, la pelle della bestiola diventa così croccante e appetibile che è praticamente impossibile resistere… Con risultati a dir poco nefasti.
… e dolci “pericolosi”!
Amaretti di mandorla, bianchittos (meringhe), caschettes con miele e cannella, copulettas glassate, mustazzolus impastati con il mosto, pane ‘e sapa (con il vino cotto e la frutta secca), papassinas con l’uvetta, pardulas ripiene di pecorino fresco o ricotta, i celebri pistoccus (resi famosi dai piemontesi con il nome di savoiardi), le sebadas fritte e poi ricoperte di miele, le tiliccas cotte nello strutto, il torrone di Tonara con mandorle, noci e uova intere, i guelfos o sospiri, palline di pasta di mandorle e zucchero a velo imbevute con acqua di fiori d’arancio (tipicamente confezionate con carta velina colorata a mo’ di caramelle): la vera aggressione alla linea, in Sardegna, la compiono i dolci. Tutti buonissimi, ora forti, ora delicati, davvero particolari. Non ne abbiamo mangiati nemmeno troppi, ma le loro calorie, assommate anche alle altre di assunzione quotidiana (vino, birra –ovviamente Ichnusa!- e soprattutto liquore di mirto), hanno contribuito a farci tornare a casa decisamente sovrappeso. E a poco è valso il movimento fisico sostenuto (passeggiate, tuffi in mare, sporadiche nuotate, salite e discese dall’imbarcazione) troppo casuale e disordinato per avere efficacia sufficiente.
E allora cosa fare?
Ritornato fra le mura domestiche, mi sono fatto un bel piano di esercizi da sostenere con regolarità sfruttando le potenzialità della piccola palestra “casalinga” di cui nel tempo mi sono dotato. Voi non avete ancora nemmeno una pedana vibrante o un tapis roulant o una spin bike? Niente paura, si può sempre cominciare. Cliccate qui per farvi un’idea dei prezzi e dei modelli che più si addicono alle vostre necessità.
Paolo
Vsb:t