“Science” di agosto ha pubblicato i risultati di uno studio realizzato dall’Istituto di tecnologie biomediche del Consiglio nazionale delle ricerche di Milano (Itb-Cnr) nell’ambito di una collaborazione con la Boston University.
L’indagine è durata oltre 10 anni e l’équipe è stata coordinata da Thomas Perls della Facoltà di Medicina dell’Università americana. Sono stati indagati circa 1000 cittadini statunitensi (femmine e maschi) fra i 95 e i 119 anni d’età: in particolare, sono state analizzate le loro variazioni geniche identificando 150 varianti che, esaminate con un algoritmo innovativo, possono indicare se un individuo raggiungerà o meno il secolo di vita. E con una percentuale d’errore di nemmeno il 20%.
In altre parole, era noto che la durata della vita umana fosse in parte scritta nel DNA; ma ora, grazie a questo studio, siamo in grado di conoscere i profili genetici, cioè le caratteristiche del patrimonio genetico di ognuno di noi, che possono indicare o meno la nostra predisposizione all’invecchiamento. “Che il destino fosse in parte scritto nel DNA era noto. Ora però sappiamo quali sono i profili genetici delle persone predisposte a raggiungere e superare la soglia dei cento anni di vita” dice il dottor Perls “e questo potrà aiutare molto nello screening di numerose malattie e nell’istituzione di terapie personalizzate”.
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